di Eleonora Cozzari – foto Fiorenzo Galbiati
A Cavalese il cellulare non prende bene. È un iniziale susseguirsi di “aspetta non ti sento”, “qui va meglio?”, “ecco resta fermo lì”. Non so dove sia finito, alla fine, per parlarmi di questo ultimo anno strepitoso (e un po’ anche di quello prima, meno strepitoso però) ma quando Daniele Lavia racconta, al netto di qualche desinenza persa, il suo messaggio arriva forte e chiaro. «Io titolare inamovibile dici? Ecco magari inamovibile possiamo pure toglierlo. Perché nessuno qua, ma anche a Trento, ha il posto fisso». Qua, ovviamente, è la nazionale. Che anche nell’era De Giorgi ha assunto Cavalese come casa madre (il fatto che il cellulare non prenda bene credo sia il valore aggiunto). Lassù, tra le montagne della Valle di Fiemme, gli azzurri si sono ritrovati da campioni d’Europa. E per Daniele, come per gli altri, i mesi a venire dovranno dire se sono stati d’oro per una notte o per valore assoluto. Il che non significa vincere tutto. Anzi, non significa neanche necessariamente vincere. Di certo però, questi ragazzi devono aver imboccato una strada. Che porta a giocare sempre e contro chiunque, per andarsi a prendere quel benedettissimo oro.
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