di Piergiorgio Ferrari

Poco fumo e tanto arrosto, verrebbe da dire, parlando di Fabio Ricci, uno di quei giocatori forse poco appariscenti, che conquistano raramente le copertine ma tanto gli allenatori, per il loro farsi trovare pronti ad ogni occorrenza. Il centrale romagnolo, nato a Faenza 27 anni fa, con i suoi 205 centimetri di altezza risponde perfettamente a questo identikit, così come risponde presente ogni volta che coach Grbic lo chiama in causa, lavorando sodo ogni settimana per ritagliarsi il proprio spazio da protagonista con la sua Perugia e con la maglia azzurra sempre presente nei suoi pensieri: dalla mancata convocazione per Tokyo di cui però non si rammarica («mi è dispiaciuto, è vero, speravo di andarci, però posso dormire sonni tranquilli, non ho nulla da rimproverarmi. Personalmente penso di aver dato il massimo, poi sono state fatte altre scelte ed è qualcosa che fa parte del gioco»), alla soddisfazione di chiudere in campo la finale che ha portato gli azzurri di De Giorgi sul tetto d’Europa («fortunatamente, poi, la stagione internazionale ha riservato una grandissima soddisfazione per l’Italia della pallavolo, e sono contento di averne fatto parte».
Un Europeo vinto inaspettatamente, che doveva essere un punto di partenza per mettere le basi al nuovo corso di De Giorgi e dove, invece, Giannelli e compagni hanno stupito tutti portandosi a casa l’oro. «Personalmente, già dalla prima vittoria contro la Slovenia nel girone ho pensato che poteva essere un Europeo nel quale avremmo detto la nostra, è stata una vittoria da grande squadra».
Una vittoria in cui, come sempre in questi casi, è stato il gruppo l’elemento chiave. «In quei giorni si è creato all’interno della squadra qualcosa di speciale. Un’alchimia che non era facile da trovare anche visto il poco tempo che abbiamo avuto per allenarci tutti insieme. I ragazzi reduci dall’Olimpiade, infatti, sono arrivati dopo Ferragosto e qualche giorno dopo siamo partiti per la Repubblica Ceca, però fin dal primo collegiale si era creato un ambiente molto disteso, che ci ha permesso di focalizzarci sugli obiettivi senza sentire eccessivamente la pressione. Penso che questa spensieratezza abbia fatto la differenza».

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