di Giorgio Marota

«Mi sto allenando, sennò poi è difficile riprendere il ritmo». Sono trascorse 72 ore dalla finale scudetto di Superlega e Robertlandy Simon, miglior giocatore della serie, è ancora in palestra a faticare. Sala pesi per l’esattezza. La sua stagione è finita in trionfo, la Lube ha vinto il settimo tricolore (il terzo consecutivo) e il capitano in campo continua a godersi la festa con moderazione e con immutato spirito di sacrificio. Da professionista vero. «Mi alleno ancora perché alla mia età non puoi rilassarti troppo, sennò poi riattaccare la spina è complicato. Bisogna lavorare ogni giorno con lo spirito di un ragazzino, questa è la mia forza». Se cercate sul dizionario la voce “umiltà” potreste trovare una frase simile, pronunciata da un 35enne che è già arrivato al top e vuole continuare a restarci.
Prestazioni monstre in successione, muri e turni al servizio da far tremare gli avversari, oltre a una continuità spaventosa in primo tempo, specialità nella quale probabilmente non ha rivali al mondo: il premio come MVP è stato consegnato a Simon quasi come atto dovuto, senza particolari discussioni. I suoi numeri nei play off fanno impressione: tre volte “migliore in campo” nella serie finale (Gara 1, Gara 2 e Gara 4), con 154 punti in 11 match (dai quarti alla finale) e il picco di 20 palloni messi a terra in Gara 4 e Gara 5 di semifinale contro Trento e in Gara 1 contro Perugia, oltre a 32 muri vincenti e il 72,3% in attacco. Il centrale ha fatto la differenza, all’ultima curva del suo meraviglioso percorso in biancorosso. Non dev’essere facile – e infatti non lo è stato – affrontare la post-season sapendo di dover andar via. Quando Simon riavvolge il nastro di ciò che la Lube ha rappresentato nella sua vita, le emozioni scorrono a fiumi. E le lacrime pure. «Era difficile restare concentrati in campo. Ho provato sentimenti contrastanti: la felicità per aver vinto, ancora, con questa maglia che tanto amo. Ma anche il dispiacere perché devo lasciarla. È difficile da digerire».

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