di Eleonora Cozzari
foto Maurizio Spalvieri
Ci sono gli stranieri. Da ogni parte del mondo. Perché in Italia c’è il campionato più competitivo, perché le possibilità e gli ingaggi lievitano se sul curriculum c’è scritto Superlega. E poi ci sono i cubani. I cubani sono a parte. I cubani hanno un passato, sempre. E un futuro, che mai è uguale a come ci avrebbero giurato. Loro. E a come ci avresti scommesso. Tu. Qualcuno passa, qualcuno torna, molti restano. Lui è tornato, per esempio. Se n’era andato nel 2014, dopo aver giocato a Piacenza per due anni, finita la squalifica per aver deciso di abbandonare la nazionale cubana e Cuba. Non è scappato, come si scappava negli anni Duemila, fughe di notte dai ritiri e via di corsa verso un’altra vita. Si è sposato. Ed è partito. Poi nel 2018 Robertlandy Simon decide che è tempo di riprovarci ed eccolo di nuovo in Italia. Dopo quattro anni agli angoli del mondo – dalla Corea al Brasile – veste la maglia della Lube Civitanova. Nelle Marche arriva dopo le svariate finali perse consecutivamente dai cucinieri. Tu pensi che lo convinca Juantorena, invece è il team manager Matteo Carancini, con cui aveva lavorato a Piacenza. Poi certo, c’è Osmany. E pure Leal con cui scende dallo stesso aereo. Insieme al Sada, insieme alla Lube. «Leal è più riservato di me. Preferisce andare in un bar, anziché a ballare in discoteca, capisci?». Per un cubano deve essere una specie di affronto. Sorrido. Lui non mi vede, siamo al telefono, ma gli rispondo che capisco perfettamente.
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