Lo status è quello di dilettanti e forse questo è il problema. Soprattutto se sei una donna, fai della pallavolo la tua professione e devi fare i conti con il desiderio di diventare mamma. Quello che ha visto protagonista la palleggiatrice Carli Lloyd, rientrata negli Stati Uniti dopo pochi allenamenti con Casalmaggiore e un contratto diventato “carta straccia” per un test di maternità positivo, è solo l’ultimo di tanti episodi identici. Ad aver vissuto sulla propria pelle la stessa esperienza è stata, nel 2016, Chiara Di Iulio, che da poche settimane ha detto addio al volley giocato dopo vent’anni di carriera in serie A e ha appoggiato la nuova Associazione Italiana Pallavolisti, di cui è socia fondatrice e consigliera. «La maternità per me e mio marito è stato il momento più bello della nostra vita. Ti fermi e capisci che stai vivendo una cosa spettacolare, meravigliosa. Poi pensi anche al tuo lavoro e le conseguenze sono già scritte. Io avevo già firmato un accordo biennale con Scandicci e, come succede di prassi nella pallavolo, appena ho avuto questa bellissima notizia automaticamente mi sono ritrovata senza un contratto. Viene semplicemente strappato. Il club ti fa gli auguri e stop. Da una parte quindi c’è la contentezza dell’arrivo di una nuova vita, dall’altra una donna si ritrova senza assistenza, supporto e stipendio, che nel nostro caso viene considerato un rimborso spese».
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