di Eleonora Cozzari
foto Marika Torcivia
Le sale d’attesa esistono. E non sono come nei film, dove succede sempre qualcosa. Le sale d’attesa della vita sono noiose e irritanti. Anche se sei Ivan Zaytsev. Soprattutto se sei Ivan Zaytsev. Perché non puoi neanche permetterti di dirlo, devi sempre essere lanciato a mille all’ora. Invece, quando lo raggiungiamo al telefono, lo Zar è in una di quelle. E sembra un leone in gabbia. È stanco. Di fare polemica, di essere strumentalizzato, di esporsi. Vuole solo deformare palloni. Sulla linea. Provocando orgasmi. L’avventura a Modena non è andata come sperava e ha passato l’ultimo anno in Siberia. Non esattamente un carnevale di Rio. Eppure. Eppure tanto alla frutta questo ragazzo non deve essere. Perché la squadra campione d’Italia, la Lube, gli ha fatto firmare un triennale. E soprattutto, perché la gabbia in cui ora è rinchiuso tra poco si aprirà e lui, pubblico o no, scenderà nell’arena dei Giochi olimpici per la terza volta. Da capitano dell’Italia, a difendere un argento che cinque anni fa le sue mani hanno personalmente contribuito a forgiare.
È talmente tante cose, Ivan Zaytsev – simbolo della pallavolo italiana, padre di tre figli, tira lavatrici, personaggio tv, figlio d’arte – che la fascia di capitano quasi quasi te la scordi. Invece, adesso, in questa sala d’attesa olimpica è l’unico ruolo di cui vestirsi. E in cui specchiarsi. Perché puoi togliere l’azzurro allo Zar (ed è successo, vicenda grottesca anche guardata a quattro anni di distanza) ma non potrai mai togliere allo Zar l’amore per questa maglia. Partiamo da qui. «Vivremo un’Olimpiade diversa, anche se esattamente non sappiamo cosa ci aspetta. Di sicuro non sarà un’esperienza completa, come lo sono state le altre. Si parla addirittura di mangiare ognuno nella propria camera, senza possibilità di girare il Villaggio olimpico, che è la parte magica dell’essere ai Giochi. Come fare una passeggiata e stare in fila per un caffè incrociando gli sguardi di atlete e atleti che come te stanno lottando per quelle poche medaglie a disposizione. Detto questo, noi andiamo per vincere e siamo esattamente quelli di cinque anni fa: d’accordo più maturi ma anche evoluti e stiamo mettendo a punto un gioco diverso. Perché se i problemi li risolvi, non ci sono».
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