L’importanza della gestione delle emozioni e delle relazioni in un team
di Lorenzo Tubertini*
(*allenatore Top Volley Latina)

Chi sta leggendo questo articolo forse sarà accompagnato da uno spirito di curiosità perché per la prima volta mi trovo a scrivere un articolo per Pallavolo Supervolley. Chi l’avrebbe mai detto! Da ragazzino avevo tutti i numeri, erano i tempi dei derby tra Modena e Parma e io ero in curva a tifare per i miei campioni. Qualche anno è passato e oggi posso dire che sì, i sogni si avverano, basta crederci.
Ho scelto di non parlare di tecnica o tattica, né di progettazione o programmazione. Mi calerò in un viaggio interiore, provando a scrivere e sottolineare quello che ho potuto realizzare, vivere e ricordare in tutti questi anni. Tu che stai leggendo dirai: “Io cosa c’entro?”.

Tu c’entri sempre, perché senza di te (altro da me) io non sono nulla. Perché è solo grazie a te che IO SONO, è solo grazie a te che posso riconoscermi, misurarmi, confrontarmi, nutrirmi. Tu che sei compagno, amico, collega, tifoso, con la tua dimensione, puoi essere per me una misura, un riferimento. Non sarà una lezione teorica sulla pallavolo, ripeto, ma una provocazione per riflettere su cosa è la pallavolo e sulla relazione che inesorabilmente si crea attimo dopo attimo, intorno a tutto ciò che viviamo. Come siamo noi in questa relazione? Siamo passivi? Crediamo di poter fare accadere ciò che vogliamo? O ancora, perché siamo in questa relazione?

La domanda (o la provocazione) è: perché tutto questo?

Poche cose ci rimangono impresse nella vita. Rari attimi di presenza che si fissano nelle cellule del nostro corpo e che ci fanno rivivere con tutti i sensi “quel” preciso istante. Guardando un servizio sui campioni del mondo del 1990, le parole di Andrea Lucchetta ancora mi risuonano in testa: “Alzai la coppa al cielo e in quel momento tutto finì. L’immensa gioia che fino a quel momento mi stava nutrendo immediatamente svani!”. Tutto scomparve, vi rendete conto? Una vita a fare sacrifici e lì, da campione del mondo, in un attimo, arriva la paura di non poter vivere più quella emozione, quella gioia che ti droga quando raggiungi il tuo obiettivo. Sapeva che avrebbe finito lì il suo percorso, il suo viaggio. E allora io mi chiedo perché. Perché tutto questo? Non lo so, ma ho imparato che, prima di darmi delle risposte, devo cercare di farmi delle buone domande. Sono queste a definire chi sono.

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di fare ordine fissando una parola chiave, relazione, quella che inesorabilmente si crea e mette costantemente in confronto, in comunione. Nella pallavolo si entra in relazione ogni giorno con compagni di squadra, allenatori, dirigenti, tifosi, giornalisti. Costantemente ci ritroviamo a vivere nella quotidianità con l’impegno per il nostro lavoro e in confronto costante con l’ambiente e le persone che ne fanno parte. Certo è tutto ovvio, ma se pensate a come siete voi in questa relazione continua, vi accorgerete che non sempre le cose vanno proprio come vorreste. Quando questo accade, ciò che si fa solitamente è demandare la responsabilità agli altri, accusare il caso o fare finta di niente e pensare che domani è un altro giorno.

Ma perché se arrivo a raggiungere un obiettivo così alto poi mi sento svuotato di tutto sapendo di aver fatto tutto il possibile per raggiungerlo? Perché? San Francesco diceva che tutto ciò che tieni è perso e tutto ciò che dai è tuo. E quindi? Mi verrebbe da pensare che in tutto quello che ci accade sarebbe importante cercare di dettagliare costantemente la finalità del nostro obiettivo, in caso contrario si rischia di ridursi a mettere a fuoco solamente il risultato finale. Il paradosso “morte tua, vita mia” va bene purché io possa vincere? Ma questa non è più una relazione di vantaggio, perché la mia dimensione non può migliorare se tu non ne fai parte. Quello in cui il tuo successo diventa anche il mio è un rapporto “vincere-vincere”, ed è la vera relazione. Una relazione in cui invece io vinco se tu perdi è una relazione in cui la mia dimensione non acquista nulla di nuovo se non una gratificazione del mio successo che nutre il mio ego, ma mi imprigiona nel mio mondo.

Se tu migliori, io miglioro. Se tu vinci, io rilancio e diventi il mio riferimento, uno skilift. Allora sì che ci sono stima e curiosità, non invidia e recriminazione. Il mio invito quindi è: guardiamo, studiamo, pensiamo, proviamo e poi riusciamo. Non importa se cadiamo e falliamo, ci riproviamo dettagliando i passaggi.

Lo sport insegna che dobbiamo provare sempre e quando pensiamo che non ce la possiamo più fare, ecco che emerge quella fiammella dal nostro cuore che illumina la mente e ci fa ricordare il nostro proposito. Magicamente il nostro corpo ricomincia a camminare per andare lì dove ci siamo detti che volevamo arrivare. Capite? È un’istruzione di processo. Ma chi comanda? Il cuore, il cervello o il corpo? Ricordate le domande? Sono importanti nella vita. Cosa mi sto chiedendo? E ancora, che cosa voglio da tutto questo? Lo desidero veramente? Perché? Che cosa farò una volta ottenuto quello che cerco? E chi ne sarà felice? Perché? Sono domande che, se fatte intensamente, ci porteranno a una qualità di dettaglio e di definizione che inevitabilmente ci aiuteranno a fare chiarezza. Potremo definire con certezza cosa desideriamo veramente, perché e cosa faremo una volta ottenuto quello che desideravamo. Forse non tutto si riduce solo a un risultato finale, ma ad un percorso in cui tutto ciò che incontriamo diventa utile al nostro proposito.

Mia figlia me lo insegna tutti i giorni, mi chiede sempre il perché, non sa e vuole sapere. Da bambini siamo curiosi, privi di infrastrutture, poi l’ambiente, il contesto, le circostanze ci definiscono e ci strutturano. Imprigionano la nostra essenza facendoci diventare ciò che dobbiamo essere e non ciò che vogliamo essere. Ai miei ragazzi cerco sempre di far capire che non devono fare nulla di ciò che non capiscono. L’unica cosa che devono fare è nutrire un desiderio di conoscenza, mettere in dubbio la prima risposta che danno e che in apparenza potrebbe risultare corretta, ma che in realtà cambia col cambiare il punto di vista.

Abbiamo detto che è importante capire cosa vogliamo veramente prima di metterci in cammino e poi? E poi incontriamo infinite relazioni che ci mettono costantemente in condizione di dover rispondere a delle sollecitazioni che il mondo intorno a noi ci chiede. Questo porta a muovere la nostra ruota, fare sport ad alto o basso livello mette in una condizione di relazione che anche la vita di tutti i giorni offre, ma ad una velocità superiore. Si possono fare molte più esperienze con se stessi in relazione ai compagni, al gioco stesso, al pubblico. E continuamente essere stimolati a migliorare perché si ha un obiettivo chiaro. Vincere, divertirsi.

Inevitabilmente tutto questo fa scoprire sempre nuove cose. Fantastico! Pensate se ognuno di noi desiderasse ogni giorno scoprire qualcosa di nuovo per sé! Sarebbe un’esplosione di luce. Ma sì, ho scoperto qualcosa e allora che ne faccio? Meglio non dirlo a nessuno, altrimenti anche gli altri potrebbero avvantaggiarsi. Ma cosa posso fare con il sapere, se non lo posso condividere? Avere non è sapere, potere non è fare. Se sai, sei. E se sei, fai. Allora sì che se fai, sei. Restare costantemente con l’intento di sapere porta inevitabilmente a cercare. Lì dove posi il tuo sguardo troverai ciò che stai cercando, quindi prima fissa bene ciò che stai cercando, perché così tutto potrà diventare più chiaro.

Ok, mi fermo e rifaccio un po’ di chiarezza. Volevo parlare di come evolve la pallavolo, di come evolvono le cose e noi all’interno di esse. È importante capire da dove si è venuti, se si vuole sapere dove si vuole andare: dà la dimensione del viaggio e fa capire se provarci oppure no.

Quando ho iniziato a lavorare in serie A avevo 19 anni, sbobinavo delle cassette VHS per poter studiare le rotazioni, gli attaccanti e i battitori. Si cercava di capire come distribuiva il palleggiatore e come attaccavano gli schiacciatori divisi per tipo di alzate. Per fare questo dovevo aspettare che arrivasse il postino con le partite il mercoledì, poi calarmi in un lavoro che durava infinite ore. Oggi le partite vengono caricate in tempo reale e con l’elettronica puoi dettagliare ogni parte in tempi brevissimi. Possiamo quindi dire che è subentrato l’elemento velocità. Tutto è più veloce e fa sì che ci sia una riduzione dei tempi di lavoro, ma aumenta di conseguenza il livello di domande che possiamo farci, per cercare di migliorare grazie all’analisi di più dettagli. Prima c’erano domande che non pensavamo di poter formulare, oggi possiamo ragionare con una griglia più ampia. Possiamo cioè inserire più elementi da elaborare su tutti i piani. Un esempio: se analizzo un attaccante, posso dettagliare da quale punto parte la palla, chi ha a muro come avversario (forza debolezza), da chi viene toccato il suo attacco, in quali momenti del gioco fa una cosa anziché un’altra. Sono tutte informazioni che aiutano a riconoscere delle situazioni durante il gioco e quindi a cercare sempre più di dare la giusta risposta a quel momento.

Conoscete il telescopio Hubble? Andatevelo a vedere su internet: grazie a questo gigantesco strumento lanciato nello spazio la Nasa sta mappando l’universo. Un giorno hanno deciso di puntare il telescopio in un punto dello spazio dove si pensava non esistesse nulla. Sapete cosa hanno scoperto dopo 20 giorni di messa a fuoco? Migliaia di galassie. Sapete cosa è una galassia? Un sistema solare? Un pianeta? Una stella? Sapete cosa siamo noi in relazione a questa scala? La cosa più semplice da dire sarebbe “nulla”, ma la cosa più saggia penso sia rispondere “non lo so!”. E rimanere lì a cercare di capire, credo sia la cosa più stupefacente di tutto ciò. Dettagliare, dettagliare fino a scoprire che tutto ciò che pensavi impossibile, magicamente si avvera.

Mi allontano da quell’immagine di infinite galassie e torno al nostro piccolo mondo del volley che è stato alimentato e nutrito, in tutti questi anni, da persone volenterose, che appassionate di questa sfida si sono calate come si cala uno scienziato per capire come sconfiggere il cancro ogni giorno in migliaia di provette e infiniti tentativi. Ognuno di noi ha la propria dimensione, non possiamo pensare di essere una banana se siamo un arancio, ma sicuramente possiamo impegnarci a scoprire tutto il nostro mondo. Così come un ragazzino di 16 anni la domenica mattina prova emozione in una fredda palestra comunale deve giocare la sua finale provinciale. Io oggi ho la fortuna di vivere quella sana tensione agonistica prima della gara, quando ero lì in quella fredda palestra d’inverno con i miei ragazzini, non sapevo come sarebbe andata a finire, ma speravo che potessero trovare ciò che stavano cercando. Anche solo riuscire a vincere un set. Quanto desiderio di riuscire a buttare di là quella palla con un lancio, quanto desiderio di riuscire a fare un ace sul 24-23 in una finale scudetto…

Quanti mondi che ti permette di provare ad esplorare questo sport: Pensieri, emozioni, azioni. Potremmo parlare una settimana di bagher, un mese di gioco, un anno di tattica. Il volley, come tutti gli altri sport, ha tecnica e tattica all’infinita espressione. Infinita perché la tecnica è in continuo mutamento e ciò che prima non pensavo neanche si potesse immaginare oggi si fa. Si mura a quattro mani una sette in banda, si ricevono battute a 135 km orari, a volte si sbagliano ma già dal prossimo anno sono certo che tutti saranno più bravi a ricevere i servizi di Leon. Perché? Perché qualcuno sarà riuscito a farlo, forse anche involontariamente, ma lui diventerà modello per tutti. Ancora una volta la legge del vincere-vincere avrà la meglio.

Siamo la risultante di tutto ciò che è stato fino a oggi, più noi. NOI, non IO. Io è la mia parte, ma senza la tua non posso fare proprio nulla, al massimo dei bagher contro un muro. Guardate questa immagine, è impressionante, ti fa esplodere il cervello. Come potevo non averla vista prima. Eppure era lì, forse ero distratto o semplicemente non sapevo cosa guardare o, forse, guardavo altre cose.

+ FOTO Hubble

Oggi io penso sia ora di guardare non solo alla palla, a come colpirla o come difenderla, penso sia importante iniziare a capire a tutti i livelli come stare in quella relazione. E lì che si apre un mondo che ha davvero ha uno spazio infinito, che apre porte che mai avrei mai pensato esistessero. Capire come stare in una relazione di lavoro, di gioco, dove IO sono un elemento attivo e cerco di imparare ad imparare. Dove imparare divertendosi finalmente potrà aprire quelle barriere che i limiti dell’uomo hanno segnato fino a oggi perché semplicemente si pensava che così fosse giusto. Oggi possiamo dire che imparare divertendosi non è fare i buffoni, ma è sottolineare quello che l’uomo da sempre manifesta, ovvero godere del suo stato naturale che è la gioia. E nella gioia ritrovare l’amore. L’amore, pensate a San Francesco: tutto ciò che tieni è perso, tutto ciò che dai è tuo.

Quello che accade continuamente in una relazione è sollecitazione. Ed in base a questa noi rispondiamo. Se arrivo un po’ teso al lavoro perché fuori piove o il governo è ladro, quando il mio compagno o il mio allenatore mi dirà una cosa che mi infastidisce come pensate reagirò? Una imprecazione? Un silenzio? Sicuramente non una cosa utile al mio vecchio proposito. Punirò? O sarò indifferente? Certamente sarò in “sollecitazione-risposta”, ma cosa manca in questa relazione? La comprensione che è l’opportunità di valutare con la mente ciò che mi sta accadendo, avvertire con l’emozione ciò che sto provando, ascoltare il corpo, i suoi movimenti e le sue tensioni.

La comprensione ci permette una risposta volontaria, non il solito meccanismo. Che differenza c’è? Immaginate se potessi fermarmi un attimo, un solo attimo, per fare un respiro, per prendere distanza da tutto ciò che mi circonda e invece di esserne travolto, prendere pieno possesso di quel preciso istante. Certamente potrò dare una risposta che per tutti o tutto produrrà un vantaggio comune. Provare a conoscere noi stessi ci dà l’opportunità di conoscere meglio gli altri e cercare sempre il “vincere-vincere” (vantaggio comune), senza giudizio o recriminazione. Devo cercare quel luogo in cui posso riconoscere ciò che sta accadendo e di conseguenza poter dare la mia risposta migliore che produce una relazione di vantaggio per entrambi.

Bene, questo è quello spazio infinito che non si vede ma che c’è. E che se vuoi puoi cercare di vedere, proprio come ha cercato per tanti anni Hubble. Ecco come vedo l’evoluzione di questo sport: gestione dell’essere umano che non è solo un corpo fisico, ma che contiene tre livelli comunicanti tra loro. I monaci tibetani hanno scoperto anche grazie alla meditazione, 80 mila tipi di emozioni diverse, io forse 20.
La gestione delle emozioni è importante, o ci travolge o ci sostiene. Le emozioni sono il carburante del corpo umano. Capire l’importanza della qualità del nostro carburante è come capire che per fare andare al meglio una Formula 1 ci vuole benzina speciale. Senza il giusto carburante la macchina non può funzionare al 100% delle proprie possibilità.

Noi oggi non parliamo mai di come funziona il cuore. Parliamo di numeri, percentuali, strategie. Se sbagli la battuta, vuol dire che devi fare più battute. Ne siamo così sicuri? O forse in quel preciso istante le mie emozioni hanno avuto il sopravvento e per cercare di calmarle ho usato troppo il pensiero? Risultato? La palla è finita in rete o fuori. Forse in quel momento hai fatto semplicemente confusione. È come far l’esame col cuore e far l’amore con la testa. Vien fuori una robaccia. Avete mai provato? Io sì, una robaccia. Scoprire le velocità dei centri (mente-cuore-corpo) è come scoprire che prima di mettere la pasta è meglio far bollire l’acqua. La mente è lenta, il cuore è veloce, il motorio è velocissimo. Il centro motore ha una velocità di 30 mila volte più rapida del centro intellettuale e il centro emozionale a sua volta è 30 mila volte più rapido del centro motore. La risposta più veloce quindi diventa la risposta emotiva.

Se la risposta emotiva diventa dunque la più importante, cosa devo cominciare a pensare di allenare maggiormente? Molti provano allora a ricreare quelle situazioni di stress. Io ho provato, ma al massimo posso ricostruire uno stato di agonismo in un contesto di allenamento. E non è mai la stessa cosa. Arrivare in quel momento con degli strumenti giusti e allenati penso sia la cosa migliore, perché mi farà vivere quell’esperienza preparato. Posso imparare a rilassarmi, a fare del respiro uno strumento che può modificare una chimica, posso cercare di prendere distanza da tutto ciò che sta accadendo evitando di farmi travolgere dai flussi emotivi. Posso provare, una volta riconosciuto il mio stato, a direzionare lì dove voglio posare il mio sguardo. Studi scientifici hanno approvato i benefici della meditazione per l’essere umano, anche solo un minuto ripetuto più volte al giorno, può cambiarci chimicamente e farci ritrovare quella strada che tanto spesso abbiamo perduto.

Spero che questo breve racconto vi possa aver creato più domande che risposte, perché questo era il mio intento. Non so se ci sono riuscito ma se vorrete approfondire anche solo una piccola parte del mio racconto ne sarò lieto. Scrivetemi a turboars72@gmail.com.