Tecnico e comunicatore, è stato tra i tecnici più influenti nel mondo della pallavolo italiana e mondiale. Ha scelto di non allenare più ma lascia un’eredità enorme

di Daniela Gioria

Julio Velasco ha annunciato che chiude la sua carriera da allenatore. È stato uno dei tecnici più influenti nel mondo della pallavolo italiana e internazionale nonché un grande comunicatore e vorrei in questo momento approfondire alcuni concetti fondamentali che ci ha lasciato sull’attitudine mentale che devono avere un giocatore o una giocatrice vincenti.
Tutti lo ricordiamo per l’espressione “in campo voglio vedere gli occhi della tigre”. Ma cosa sono gli occhi della tigre? Angela Duckworth direbbe la grinta! È la prima attitudine fondamentale per un atleta che vuole arrivare ad alto livello nel mondo dello sport. La grinta batte il talento, soprattutto quando il talento non si impegna abbastanza. La grinta che si legge negli occhi della tigre è una attitudine che può essere aumentata con gli strumenti della psicologia dello sport. Tutti la possediamo in misura differente, ma se stimolata può diventare un motore potente per emergere.
Secondo concetto nato insieme alla generazione dei fenomeni con la quale la pallavolo italiana ha visto la sua crescita più grande è la cultura degli alibi. Di cosa si tratta l’ha spiegato lo stesso Velasco.

“Non riuscire a superare le difficoltà porta alla cultura degli alibi, cioè al tentativo di attribuire un nostro fallimento a qualcosa che non dipende da noi. Ho conosciuto centinaia di atleti. Alcuni vincenti, altri perdenti. La differenza? I vincenti trovano soluzioni. I perdenti cercano alibi”.

Ogni atleta deve sentirsi primariamente causa di quello che succede, ovvero prendersi la responsabilità di ciò che va bene o che va male. Quanto più si sente protagonista della sua carriera, tanto più sarà efficace e determinante. La trappola degli alibi è subdola e bisogna fare grande attenzione a delegare all’esterno la buona riuscita della nostra prestazione. È molto facile, come dice Velasco, dare la colpa al palleggiatore se sbaglio l’attacco, ma resta il fatto che l’attacco è stato sbagliato, ho perso il punto e che, anziché giudicare l’alzata, lo schiacciatore avrebbe potuto pensare ad essere più efficace. I giocatori forti sono quelli che risolvono l’alzata, non la giudicano.

“Gli schiacciatori non giudicano l’alzata, la risolvono!”

Un altro concetto fondamentale di cui Velasco ha parlato spesso e che non viene valorizzato a sufficienza è la capacità di perdere.

“Lo sport serve a imparare a perdere, oltre che a vincere. Vincere non è solo battere gli avversari, vincere significa superare i propri limiti: questa è la prima vittoria che uno deve cercare di ottenere. Accettare di perdere significa sapere perdere. Invece nei comportamenti prevalenti c’è sempre un colpevole, c’è sempre un motivo: l’arbitro, il tempo, il fuso orario… Saper perdere significa non dare la colpa a nessuno, prendersi la responsabilità della propria prestazione”.

Perché saper perdere è importante? Perché nello sport le sconfitte sono spesso pari se non più delle vittorie e nelle sconfitte che si può mollare. Si può di nuovo cadere nella trappola degli alibi per i quali non sono io ad aver giocato male, ma non ho vinto per una qualunque motivazione esterna che non potevo controllare. È nella sconfitta che si tempra il carattere. Le vittorie aumentano la sicurezza, le sconfitte fanno crescere la resilienza: sono due facce della stessa medaglia fondamentali al miglioramento continuo di un atleta.
Ai colleghi Velasco ha lasciato molti spunti importanti per affrontare questo delicato ruolo di educatori oltre che di semplici allenatori. Il primo è sul modo di guidare il gruppo. L’allenatore è il leader della squadra è per essere leader innanzitutto bisogna essere autentici.

“Il leader deve essere se stesso. Quello che non funziona, soprattutto con i giovani, è chi vuole essere ciò che non è. Perché gli altri se ne accorgono subito, cominciano a grattare, scoprono che sotto la superficie non c’è sostanza e ci ridono dietro. Non è detto che il leader debba essere per forza un duro. Io lo sono, ma conosco grandissimi allenatori che hanno un altro modo di approcciarsi ai giocatori e che ottengono gli stessi risultati”.

Come ho scritto in altre occasioni ci sono vari tipi di leadership che vanno utilizzati dall’allenatore a seconda della situazione e degli atleti che ha a disposizione in quel momento. Saper utilizzare diversi stili di leadership non vuol dire recitare una parte. Come dice bene Julio, bisogna essere autentici a calzare la leadership sulla propria personalità, altrimenti i giocatori se ne accorgono e perdiamo subito la credibilità.

“Ai giovani io dico: voi dovete cercare di vincere il più possibile, ma non credete a chi dice che il mondo si divide in vincenti e perdenti. Io credo che il mondo si divida soprattutto tra brave e cattive persone. Poi tra le cattive persone ci sono anche dei vincenti, purtroppo. E tra le brave persone ci sono, purtroppo, anche dei perdenti”.

Questo concetto è fondamentale nello sport giovanile: non tutti i ragazzini e le ragazzine arriveranno ad essere campioni o campionesse, ma tutti cresceranno ed è importante che grazie agli insegnamenti dello sport possano diventare uomini e donne migliori.
Dopo la notizia della fine della carriera da allenatore di Julio Velasco, il mondo della pallavolo lo ha celebrato con riconoscenza per il grande lavoro che ha fatto. A lui va anche il mio ringraziamento per tutti i concetti che ci ha lasciato nel corso degli anni. Hanno svolto un ruolo fondamentale nella crescita personale di intere generazioni di atleti.