Ha cominciato la stagione in Cina dove il Coronavirus è scoppiato. Oggi Giulio Sabbi è tornato in Italia con la famiglia e chiede rigore. «A Shanghai siamo stati in casa per un mese e abbiamo avuto paura. Lì hanno chiuso davvero tutto, i cittadini seguivano le regole e la polizia era durissima con chi non rispettava le leggi. Qui serve più rispetto per chi sta morendo e per la gente che lavora negli ospedali per salvarci la vita»
di Giorgio Marota
«Se ripenso a quella partita… mamma mia. Sento ancora dolore alla spalla per quanti palloni ho attaccato». Quanti, Giulio? Sessanta, forse settanta. Ma sì, chissenefrega delle statistiche. Si sa che dopo qualche anno la storia diventa leggenda e non ha più bisogno di calcoli matematici per farsi raccontare. Giulio Sabbi è l’uomo che ha scritto una delle pagine più incredibili nel grande libro della pallavolo italiana: è il 23 febbraio 2014, gara tra Verona e Molfetta. Giulione da Zagarolo, due metri di colosso con un braccio da supereroe, schianta sul taraflex dei veneti la bellezza di 42 punti. Wow. La Lega disse “41” in principio, ma due giorni dopo arrivò la correzione che aggiunse allo score un muro erroneamente assegnato al giovane Mazzone. E meno male, perché l’opposto olandese Nimir Abdel Aziz a dicembre 2019 ne ha messi a segno proprio 41, tritando Piacenza con la sua Milano. Prima di Sabbi mai nessuno era arrivato alla soglia dei 40 punti in una partita di A1 nell’era del rally point (1999-2000) e il precedente record di 39 punti resisteva dal 2002, per opera del russo Iakovlev.
Ma qui – e probabilmente nemmeno da altre parti – i record non li paga nessuno. Non esiste una pensione a vita, non ci sono diritti d’autore sulle prestazioni, nonostante molte di queste vadano considerate al pari delle opere d’arte. Le fai, te le godi, le racconti ai figli e restano lì sperando che qualcuno abbia conservato almeno i ritagli dei giornali. E dunque, di qualche cosa bisogna pur campare se nella vita decidi di giocare a pallavolo ad alti livelli. Questi ragazzi, lo ricordiamo, non sono professionisti. Vivono come tali, ma da un punto di vista giuridico sono considerati dilettanti al pari di un calciatore che gioca in Eccellenza. Eppure si allenano tanto quanto Cristiano Ronaldo, vivono di pressioni enormi e in una stagione, molti di loro, giocano quasi il doppio delle partite di CR7 tra campionati, coppe e competizioni estive con le nazionali. Così Giulio ha scelto la Cina: bello il progetto, bella Shanghai, strepitosa la millenaria cultura del Paese… ma il richiamo dello yen ha sicuramente pesato più di tutto il resto. In Oriente, Sabbi ha firmato un contratto pazzesco a sei cifre. A 30 anni sarebbe stata una follia rinunciare a quei soldi e lo ammette con tutta l’onestà del mondo. «L’Italia è casa mia e qui c’è il campionato più bello del pianeta, con i giocatori più forti, è normale che mi manchi. Però quando arrivi alla mia età lo consideri eccome il discorso economico. Ti fai i conti in tasca, pensi a come sistemare la famiglia. È brutto da dire, ma è così. Noi atleti non abbiamo tanti anni di carriera per poter guadagnare e non potevo rifiutare quella proposta». Poi è arrivato il Coronavirus.
Un’emergenza mondiale divenuta pandemia che ha sconvolto non una, ma ben due volte la vita di Sabbi e della sua famiglia. La sua testimonianza merita di essere letta. «Sono arrivato a Shanghai a ottobre 2019 per ritirare dei documenti perché il campionato doveva iniziare a febbraio. L’8 gennaio sono tornato con mia moglie e mia figlia e dopo una settimana è scoppiata l’epidemia nel Paese. Siamo stati chiusi in casa fino al 31 gennaio. Abbiamo avuto tanta paura, non sapevamo cosa fare…».
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