di Eleonora Cozzari

Non saprei dire se perché era il giorno dopo il suo primo scudetto, perché è di Palermo o perché, se nella vita fai il centrale, devi essere ironico per sopravvivenza. Sta di fatto che con Roberto Russo ci facciamo delle gran risate. Soprattutto quando con quella cadenza inconfondibile dice: «Se vinci ti dicono: puoi farlo anche senza un centrale forte. Se perdi ti insultano perché dovevi fare qualcosa. Insomma come la metti è un ruolo infame». E allora questa sarà la storia di un ruolo infame. Attore protagonista: Roberto Russo. Ambientazione: Perugia, post scudetto. Ciak, azione. Telefona lui. «Sono Roberto Russo, ciao».
Comincia così la storia di un’intervista aspettata cinque anni. Tante sono le stagioni che il centrale classe 1997 è alla Sir. «Sono davvero felice, ci arrivavamo sempre vicino e ogni volta ci mancava qualcosa. Anche pochissimo. Stavolta ce l’abbiamo fatta. Sono arrivato a Perugia subito dopo il primo scudetto e ho visto passare quattro allenatori: Heynen, Grbic, Anastasi e ora Angelo. Ma solo quest’anno con Lorenzetti si è davvero creato un gruppo unito in cui tutti lottavano per vincere. Non fraintendete, in questi anni abbiamo sempre portato a casa qualcosa, ma in passato mancava la capacità di essere davvero uniti, ci lasciavamo condizionare dalle pressioni esterne, Angelo invece è stato bravo a creare “il cerchio”, così lo chiama. Formato da staff e giocatori. Non è sempre detto che tutti i componenti di una squadra abbiano lo stesso pensiero. Invece dal primo giorno lui ha voluto che nessun fattore esterno entrasse nella nostra bolla, nel nostro cerchio appunto».

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