di Gian Luca Pasini

La pallavolo sale sulla macchina del tempo e torna indietro di 34 anni. All’inizio e alla fine del viaggio c’è sempre Julio Velasco, l’uomo della provvidenza per l’Italia maschile allora, colui che la raccolse alle qualificazioni per gli Europei in Norvegia nell’estate del 1989 e la riconsegnò due volte campione del mondo e argento olimpico nel dicembre del 1996, quando terminò il proprio mandato. Diverso il colore dei capelli, uguale il percorso da fare per arrivare in cima alla montagna. L’equipaggiamento che ha scelto il Ct nato a La Plata è lo stesso di 34 anni fa. «Una giocatrice che accetta la nazionale deve avere dato disponibilità incondizionata – è il suo caposaldo, per altro abbastanza scontato considerando la sua filosofia pallavolistica e lo stesso che aveva messo nel maschile -. Disponibilità che si basa anche sulla fiducia nello staff, perché ciò che le verrà chiesto non sarà una cosa assurda da fare. Io terrò conto dei problemi personali, del fatto che sono ragazze giovani, ma se si cominciano a negoziare troppe cose la gestione di un gruppo diventa complicata. Quindi giocatrici tutte uguali e trattate tutte alla stessa maniera? Non è vero, non lo sono e la cosa che lo rende più chiaro a tutti è il conto in banca, però la nazionale deve avere riguardo per tutte. Ma è chiaro che ci sono differenze fra chi non fa i playoff, ad esempio, e chi gioca finali di Coppa Italia, campionato e Champions. Non possono essere trattate allo stesso maniera. E dall’altra parte la vita del collegiale non deve essere militaresca, di clausura».

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