di Eleonora Cozzari
Foto Maurizio Spalvieri

La storia che sto per raccontarvi parte da un fiume, il Brenta e arriva al mare, Adriatico. Geograficamente certo. Ma più metaforicamente. A Mattia Bottolo, capelli neri fluenti e ventidue anni ancora per pochi giorni, la vita è andata così. C’è stato un fiume, prima del mare. «Io non ho mai fatto grossi salti, non ho mai cambiato vita, non sono uscito di casa a 13 anni». E per il ragazzo che oggi schiaccia per la Lube Civitanova, quella corrente umana e leggera, è stata una fortuna.
Ciao Mattia, come c’è finito il figlio di due impiegati di banca a vincere un Europeo e un Mondiale nel giro di dodici mesi? Lui si mette a ridere e poi – passato il momento in cui gli spiego che è vero che ho detto che l’intervista durerà un’oretta ma è più facile si avvicini alle due (lo so che adesso state pensando: ma davvero? Davvero, vi rispondo. Avete visto quanto è lunga?) – cominciamo: «Dal lato paterno ho una forte tradizione pallavolistica: mio padre ha giocato come centrale mancino fino alla B1, poi ha preferito il lavoro in banca e ha mollato. Mia zia aveva la stessa passione e mio nonno è stato uno storico dirigente del Bassano, quindi da piccolo io sono finito subito in un campo da volley. Già dalla prima elementare, dove ero nel gruppo con le bambine. E se tutti i miei amici maschi provavano prima a sfondare nel calcio, io no. A parte il nuoto, che come diceva mia madre “ti fa diventare le spalle larghe”, ho sempre e solo giocato a pallavolo». Siamo a Bassano del Grappa, metà degli anni 2000. A quel tempo la città aveva una squadra di A2 e nel 2008 organizza i quarti di finale di Coppa Italia ospitando le migliori formazioni dell’A1. «Io avevo otto anni e credo che quello sia stato il momento in cui l’alto livello mi ha stregato. Ho visto giocare la Lube, Cuneo, Treviso, Modena, Trento, Piacenza. Tutte erano lì e ci ripenso ogni volta che vedo tanti bambini al palazzetto».

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