di Eleonora Cozzari

L’avevamo lasciata ragazzina. Acerba, a tratti diffidente, un oceano di sconfinate possibilità davanti e un entusiasmo contagioso. Ma ancora sconosciuto, ai più. Oggi Elena Pietrini, che non ha perso quella voglia di leggerezza con cui planare sulla vita, ha aggiunto però tanta consapevolezza e maturità al suo bagaglio di atleta. Compresi diversi riflettori che si sono accesi su di lei. L’estate in nazionale la restituisce padrona del suo ruolo, schiacciatrice-ricevitrice di spessore. In barba ai suoi 21 anni. Di tutte le giocatrici di Mazzanti, Elena è l’unica a non scendere mai di livello. Mai in quelle tre nefaste partite di Olimpiadi che hanno infranto un sogno. Mai con Cina, Stati Uniti, Serbia. Mai nelle nove gare dell’Europeo. Tutte portate a casa con il suo contributo. Lei che alla manifestazione continentale di due anni fa, l’ultima prima dell’emergenza Covid, non era neanche andata. Incomprensioni, pressioni, immaturità. «Non sono andata perché non stavo bene, punto. Ma si cambia, sono cresciuta, sotto tutti i punti di vista». Dirà a metà della chiacchierata. Partiamo da qui, perché questa è la chiave. È cresciuta in silenzio, nei due anni più difficili della pallavolo italiana. È cresciuta anche inconsapevolmente. Perché a Scandicci Pietrini ha brillato solo a tratti. Invece era pronta ad emergere in azzurro. A non metterla mai in discussione è Davide Mazzanti, che in primavera aveva avuto per lei parole di stima e fiducia. Lui ci credeva. Lui aveva ragione. Avrebbe immaginato, Elena, di vivere un’estate da protagonista? «Io all’inizio neanche sapevo se mi avrebbe portata a Tokyo. Pensate un po’ se immaginavo che avrei giocato titolare… invece Davide crede in me e mi è stato tanto dietro. Sono state emozioni indescrivibili quelle dei Giochi. Ed è anche difficile raccontare cosa è accaduto». Iniziamo dal contesto. «Ah beh, vedi tutti questi atleti famosissimi e ti dici: ma sono davvero qui con loro? I ragazzi del basket li conoscevo ma gli altri no. A parte Gabriele Detti del nuoto, che andava in classe con mia sorella e infatti ci siamo fatti una foto insieme. E poi tutte le mattine i tamponi, i controlli. Ma giocare senza pubblico!».

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