di Giorgio Marota
Certe ferite restano per sempre, ma una cicatrice è già una forma di cura. Sarah Fahr l’ha imparato sulla propria pelle, quando per ben due volte la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro ha complicato piani, progetti e sogni, trasformando la realtà in un dramma quotidiano. «Lì ho imparato il valore della pazienza», ci racconta la centrale di Conegliano, con gli occhi ancora umidi dall’emozione per il quarto scudetto della propria vita, il settimo di Conegliano, dentro un ciclo fatto di 15 trionfi consecutivi in competizioni italiane che lei ha vissuto quasi dall’inizio. Nella lunga e avvincente serie di finale contro Scandicci – 4 match, 18 set, 510 minuti in campo – Fahr è stata splendente: decisiva a muro, efficace in attacco, preziosa nelle rotazioni e sempre mentalmente pronta nei momenti decisivi.
L’anno e mezzo di rodaggio dopo i due stop, senza dimenticare la dolorosa scelta di abbandonare il ritiro della nazionale alla vigilia dell’Europeo di casa, è stato un calvario che lei definisce «necessario» per arrivare a questo stato di forma, a questa Sarah Fahr. «Mi sono sempre reputata una giocatrice da muro. Però credo di essere riuscita già l’anno scorso con le finali play off, e poi ancora meglio quest’anno, a trasformarmi in una centrale più completa e quindi anche d’attacco. Sono cambiata tanto anche dal punto di vista mentale. Prima ero la Sarah bambina, ora mi sento matura e sono stata brava a uscire quasi subito dal loop “qualcuno lassù ce l’ha con me”. Ho preso questi scherzi del destino come una sfida personale da vincere. Quando accetti le cose le elabori meglio, capisci che fa parte del gioco, e dopo essere stata fuori due anni posso dire di sentirmi più forte».
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