di Eleonora Cozzari

Tu metti a terra la palla della vittoria, io trasformo quel gesto in una storia. Tu fai sognare una curva, una città, una nazione intera e io, quel sogno, lo faccio diventare icona esistenziale del nostro tempo. E non è iperbole. È storytelling. Che succede però se incontri qualcuno che riesce a fare l’uno e l’altro? Se dopo undici anni di carriera ai vertici quel qualcuno decide che “mi fermo, va bene così” e queste cinque parole le esprime in un lungo post sui social in un modo così personale e poetico, da far sembrare superfluo e ridondante qualsiasi altro tentativo di racconto? Succede che può essere una sola persona in questo mondo diviso tra Molten e Mikasa. Lui si chiama Luca Vettori, ha 32 anni e non giocherà più a pallavolo. Almeno questa pallavolo. E così sia.
Ciao Luca dove sei ora? «In Liguria, con una focaccia e il mare davanti». E la sua carriera corre lungo la riga dell’azzurro in una mattina d’agosto. La decisione, gli confido, non mi stupisce. Anzi, mi sono chiesta quando l’avrebbe presa fin dalla prima volta che l’ho intervistato. E la prima volta che l’ho intervistato era la fine del 2012 e lui aveva 21 anni. Di quell’intervista ricordo tutto. Il tavolino quadrato dell’Ikea laccato di celeste dove prendevo appunti, le sue risposte taglienti e inaspettate, quella domanda una manciata di minuti dopo aver iniziato: Luca ma tu che scuola hai fatto? (che è diventato poi il titolo dell’articolo). In quell’intervista lui aveva già “svelato” tutto. Il resto della sua carriera l’ha passata a confermare quelle sensazioni, a cavalcare il talento sportivo ma a sentircisi sempre un po’ a disagio.

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