di Giorgio Marota
Il segreto del successo? «Avere delle aspettative». Emanuele Birarelli anticipa e sorprende, come da manuale del buon centrale. Del resto, un giocatore non smette mai di ragionare con la testa sul campo. Neppure quattro anni dopo aver appeso le ginocchiere al chiodo per diventare un semplice appassionato e un attento osservatore «che dedica il suo tempo libero alla famiglia e allo sport che ho sempre amato». La pallavolo per Bira è linfa e la nazionale è il sangue che gli scorre nelle vene: ha giocato tre Olimpiadi in tre diversi continenti (Asia, Europa, Sud America), due delle quali hanno portato medaglie preziosissime per il movimento, il bronzo di Londra 2012 e l’argento di Rio 2016 conquistato da capitano prima di lasciare simbolicamente la fascia che oggi è finita “al braccio” di Giannelli.
A Birarelli è giusto mancato l’oro, ma non può certo definirlo un rimpianto dentro una carriera comunque vincente: quello, come sappiamo, è un vulnus che la grande famiglia della pallavolo italiana non è riuscita a colmare neppure nell’epoca d’oro della Generazione dei Fenomeni. A Parigi saranno i ragazzi di De Giorgi a tentare l’impresa, quelli dei sogni impossibili trasformati in realtà, abituati a sorprendere e a entrare nei libri di storia con la forza motrice della spensieratezza.
L’ultimo capitano azzurro a condurci su un podio a cinque cerchi non ha dubbi sull’attesa che accompagnerà la lunga estate di Michieletto e compagni, già cominciata con la Nations League. «Dopo essere diventati campioni d’Europa e del mondo è normale aspettarsi un’Italia protagonista alle Olimpiadi».
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