di Eleonora Cozzari
foto di Fiorenzo Galbiati
Avolte chiediamo allo sport di essere faro. Di illuminare ancora più forte quello che alcuni si ostinano a non vedere. Un tempo si chiamavano gesti rivoluzionari. Compierli o abbracciarli. E quando poi qualcosa cambia, perché a fare rumore qualcosa cambia sempre date retta, il peggio che può andare è che si smuovano coscienze. È il caso di Egonu e Sylla simboli d’Italia, per esempio. Poi, un giorno, succede che le luci si accendono su una ragazza taciturna e pacata che Julio Velasco ha scelto come nuovo capitano della nazionale. Qualcuno griderà: finalmente l’Italia vera. Invece l’Italia è l’una e l’altra. Camminano fianco a fianco. Solo che l’altra fa rumore perché colma i vuoti lasciati apposta vuoti dalla politica. Allora deve pensarci lo sport. Ma queste donne combattono gli stessi pregiudizi (quelli che le vogliono incapaci di vincere) e soprattutto mirano allo stesso sogno (che è riuscire a farlo). Per questo Anna Danesi è perfetta, oggi, per essere la capitana dell’Italia targata 2024. Che il volley solo sa, quanto serve loro spirito di sacrificio, unità d’intenti e lavoro. Solo lavoro. Perché il momento è questo, mesdames et messieurs, un altro chissà. E la nuova capitana non solo ne è perfettamente cosciente, ma è la prima cosa che mette in chiaro. Lei quella striscetta sotto al numero di maglia ce l’ha perché non le è mai interessato altro che l’obiettivo, altro che quella medaglia, altro che il podio più importante di tutti i podi (o palchi) dove possano mai salire nella vita. Specie perché sarebbero le prime a farlo. E vuoi mettere fare la storia? Vuoi mettere essere il primo capitano che ci riesce? «È la nostra ultima grande occasione. Con la squadra che abbiamo dovevamo vincere qualcosa in più e questo è il momento per essere fino in fondo il gruppo forte che forse non abbiamo mai dimostrato. Perché le storie di ognuna di noi sono diverse, ma la precisa sensazione che “dovevamo fare di più” ci accomuna tutte. Sono sette anni che sto dentro a questo gruppo, sono sette anni che siamo noi e questa è l’ultima chance».
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