di Eleonora Cozzari
foto Anatrini/Galbiati

Un giorno, mi racconta, sua sorella le manda un messaggio per chiederle quanto esattamente fosse alta. Così, domanda secca. Sylvia lì per lì neanche risponde. Quando tornano sull’argomento, la sorella spiega che volevano saperlo le sue compagne del Club Italia. Subito raddrizza la schiena e allunga le orecchie. “E tu?” dice. “Ho detto un metro e ottanta”. Fa una smorfia di disappunto, sorridendo. «No, sono alta uno e settantasei. Io ne vado fiera, perché dopo che lo sai… fa effetto vedermi saltare!». Questa è la storia di Sylvia Nwakalor, opposta del Bisonte Firenze e della nazionale italiana. Ci siamo già scaldate quando mi parla di questo aneddoto. Per la precisione ho già riempito undici pagine di taccuino. Ma inizio da qui perché c’è moltissimo di lei in questo botta e risposta. C’è il fatto che sua sorella Linda sia una giocatrice del Club Italia come lo è stata Sylvia fino a poco tempo fa. C’è la sua caratteristica principale, il salto. E c’è una conquista costata sudore e bruciature: credere in se stessa, un grillo di 176 centimetri che in campo non ci pensa a fare pallonetti, tira forte e basta. Mentre fuori, invece, è prudente e riservata. Ma gentile, garbata, persino chiacchierona, in questo tempo passato insieme. Perché ci sono due tipi di persone timide: quelle che la usano come scusa per la loro maleducazione e quelle che non se lo sognano neanche. Sono le nove di mattina di una giornata d’inverno quando Sylvia risponde al telefono con voce decisa. Niente sentore di caffè sul tavolo o pigiama stropicciato. «Avrei fatto l’intervista anche alle 8,30 ma ho pensato che magari fosse troppo presto per te. Io mi sono alzata alle 6 per studiare».

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